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Cpr: il diritto alla difesa è davvero garantito?

Un'analisi approfondita rivela come il sistema dei centri di permanenza per i rimpatri, tra ostacoli burocratici e trasferimenti, renda spesso illusorio il diritto alla difesa per i trattenuti.
  • La legge 14/2024 prevede assistenza legale, ma mancano competenze specifiche.
  • Difficile accesso ai documenti: labirinto burocratico per gli avvocati.
  • Trasferimenti in Albania avvengono nel riserbo, complicando l'assistenza legale.
  • Il CPR albanese ha accolto circa 80 individui negli ultimi mesi.
  • Mancanza di orologi e telefoni: annichilimento della percezione del tempo.

Il sistema dei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR), sia in Italia che in Albania, si rivela un intricato labirinto legale dove il diritto alla difesa, pur sancito dalla legge, spesso si dissolve in una mera formalità. Avvocati specializzati in diritto dell’immigrazione denunciano ostacoli sistemici che rendono arduo garantire un’assistenza legale efficace ai trattenuti. Trasferimenti improvvisi, difficoltà di comunicazione e mancanza di regole precise creano un ambiente in cui il diritto alla difesa diventa un miraggio.

La legge n° 14 del 21 febbraio 2024 prevede l’assistenza legale per i trattenuti nei CPR italiani e albanesi. Tuttavia, la realtà sul campo dipinge un quadro ben diverso. Nel momento in cui una persona viene privata della libertà e trattenuta, le autorità di polizia emettono un provvedimento, sottoposto a valutazione in udienza. Se il soggetto non ha un avvocato, ne viene designato uno d’ufficio, spesso esperto in diritto penale ma non necessariamente in diritto dell’immigrazione. Questo divario di competenze può compromettere la qualità della difesa.

Un ulteriore ostacolo è rappresentato dalla difficoltà di accesso ai documenti necessari per ricostruire la situazione del trattenuto. Gli avvocati devono affrontare un labirinto burocratico per ottenere le informazioni pertinenti, con richieste di accesso agli atti che si moltiplicano in varie sedi. La comunicazione con l’esterno, cruciale per il successo della difesa, è spesso ostacolata. A differenza delle carceri italiane, i CPR non hanno regole chiare che disciplinano la comunicazione con l’esterno. L’accesso al telefono può essere permesso o negato arbitrariamente, limitando la possibilità per i trattenuti di comunicare con i propri affetti e con il proprio avvocato.

Le Criticità dei CPR Albanesi: Un Passo Ulteriore Verso l’Isolamento

L’avvio delle attività dei centri di Gjadër e Shëngjin in Albania ha amplificato le difficoltà preesistenti. I trasferimenti avvengono nel totale riserbo, senza che gli avvocati ne siano informati. La distanza geografica complica un’assistenza efficace, rendendo arduo il contatto diretto con gli assistiti e l’ottenimento di materiale dalle amministrazioni. La legge 14/2024 prevede il rimborso di un unico viaggio in Albania solo se impossibile collegarsi da remoto, una logistica che impedisce quel contatto diretto fondamentale per costruire un rapporto di fiducia e raccogliere informazioni cruciali.

Un caso emblematico è quello di un assistito proveniente dal Gambia, trasferito ripetutamente tra diversi CPR italiani e infine in Albania, nonostante documenti del 2018 ne riconoscessero la protezione umanitaria e l’intrattenibilità. La richiesta formale di asilo è stata presentata solo a seguito di pressioni a distanza, mentre il gestore del CPR albanese diffondeva dati inesatti.
Dal 2019, il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale può ricevere istanze relative alle condizioni nei CPR e segnalare criticità. Tuttavia, questa figura non ha gli strumenti giuridici per obbligare prefetture e questure a cambiare. Le persone trattenute si trovano quindi in una condizione di assoluta incertezza, separate da chi è preposto alla loro difesa e prive di informazioni certe sulla durata della loro permanenza nei centri. Diversamente dal carcere, dove i detenuti conoscono la durata della pena, nei CPR le persone trattenute possono solo vivere “nel terrore di essere rimpatriati da un giorno all’altro”.

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  • 🚨 Inaccettabile! La violazione dei diritti umani... ...
  • 🌍 Ma ci siamo chiesti se i CPR sono... ...

Il CPR di Gjader: Un Luogo di Annichilimento e Disperazione

Le testimonianze di chi ha visitato il CPR di Gjader dipingono un quadro di un luogo desolato e silenzioso, dove ai trattenuti è stata sottratta la percezione del tempo. Non ci sono orologi, telefoni cellulari, i televisori non funzionano. L’incapacità di percepire la realtà diventa uno strumento di annichilimento. L’ambiente è ordinato e privo di personalità, ma la sua funzionalità si basa sull’uso diffuso e sistematico di psicofarmaci, impiegati come sedativi.

In questa cornice, non mancano episodi critici: atti di autolesionismo, manifestazioni di protesta, tentativi di togliersi la vita. Si stima che il CPR albanese abbia accolto circa 80 individui negli ultimi mesi, ma cifre precise non sono state fornite nemmeno ai membri del parlamento. Durante una visita, alcuni parlamentari hanno assistito a una protesta: un uomo ha frantumato i vetri della sua cella reclamando il trasferimento.

Un altro individuo trattenuto sta per fare ritorno in Italia poiché il suo stato di salute è risultato incompatibile con la detenzione. Dipendente da psicofarmaci, mostra evidenti segnali di sofferenza psichiatrica, esito di una vita segnata da episodi violenti. Durante la traversata verso l’Europa, l’imbarcazione è affondata, causando la morte di 75 persone. Giunto in Italia, è stato condannato per reati minori e ha trascorso nove mesi in un penitenziario toscano. Al termine della pena, è stato condotto al CPR di Torino, successivamente a quello di Brindisi, poi di nuovo a Torino, e infine in Albania.

Verso una Riflessione Etica e Giuridica: Il Futuro dei CPR

La situazione descritta solleva interrogativi profondi sulla compatibilità dei CPR con i principi fondamentali del diritto e della dignità umana. La mancanza di regole chiare, le difficoltà di accesso alla difesa e le condizioni di vita disumane nei centri albanesi mettono in discussione la legittimità di un sistema che sembra più orientato alla repressione che alla protezione dei diritti.

Il diritto alla difesa è un pilastro fondamentale di ogni sistema giuridico democratico. Nel contesto dei CPR, questo diritto deve essere garantito in modo effettivo, superando gli ostacoli burocratici e logistici che ne impediscono l’esercizio. È necessario garantire ai trattenuti un accesso agevole all’assistenza legale, alla comunicazione con l’esterno e a informazioni chiare sulla loro situazione.
Un concetto legale avanzato applicabile a questa situazione è il principio di non-refoulement, che vieta di respingere una persona verso un paese dove rischierebbe di subire persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti. Questo principio, sancito dal diritto internazionale, deve essere tenuto in considerazione nella gestione dei CPR e nei trasferimenti verso l’Albania, al fine di evitare violazioni dei diritti umani.

Amici lettori, riflettiamo insieme: un sistema che priva le persone della loro dignità e dei loro diritti fondamentali può davvero definirsi giusto? Non è forse nostro dovere, come cittadini e come società, impegnarci per un sistema di accoglienza e integrazione che rispetti i principi di umanità e giustizia?


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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