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Decreto sicurezza: a rischio i principi costituzionali?

La relazione della Cassazione solleva dubbi sulla legittimità del decreto sicurezza, mettendo in discussione il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi costituzionali. Approfondiamo le criticità.
  • Il decreto è stato approvato con 109 voti favorevoli, 69 contrari.
  • Il decreto ripropone quasi integralmente il disegno di legge 1660.
  • Corte costituzionale sentenza n. 146/2024 sull'eterogeneità del decreto.

La relazione dell’Ufficio del Massimario della Cassazione, un documento di 129 pagine, ha sollevato serie preoccupazioni riguardo al decreto Sicurezza. Il decreto, approvato con 109 voti favorevoli, 69 contrari e un astenuto al Senato, è stato oggetto di intense contestazioni e proteste, sfiorando la rissa in Aula. Le critiche si concentrano sul mancato rispetto dei requisiti costituzionali di necessità e urgenza, sull’eterogeneità delle norme, sulla sproporzione delle misure penali e sull’uso improprio del decreto-legge come scorciatoia politica. La struttura normativa privilegia l’anticipazione delle sanzioni e l’aspetto meramente simbolico del diritto penale, trascurando i fondamentali principi di legalità, proporzionalità e la finalità di reinserimento sociale della pena. Questo approccio rischia di compromettere i diritti fondamentali e di minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Nel campo del diritto, si è fatto notare come il decreto in esame “riproponga quasi integralmente” un testo legislativo, il disegno di legge 1660, già approvato in prima lettura dalla Camera il 18 settembre 2024 e ancora in attesa di essere esaminato dal Senato. Secondo gli esperti legali, non si sono manifestate “nuove circostanze riconducibili ai ‘casi straordinari di necessità e urgenza’ di cui all’articolo 77, comma 2, della Costituzione”. La motivazione addotta dal governo, volta a prevenire ulteriori ritardi in Senato, dove l’atto avrebbe potuto subire modifiche durante l’approvazione, è stata considerata priva di fondamento e priva di sufficiente sostegno. Il testo, infatti, riproduce quasi fedelmente un disegno di legge su cui il Parlamento discute da mesi, mettendo in discussione la reale esigenza di un provvedimento d’urgenza.

Come ha chiarito la Corte costituzionale (sentenza n. 171/2007), “il ricorso al decreto-legge non può fondarsi su una apodittica enunciazione dell’esistenza delle ragioni di necessità e di urgenza”. Le motivazioni dell’urgenza, peraltro, non sono state esposte in maniera adeguata nella relazione che accompagnava il disegno di legge di conversione, ma sono state presentate solo in un documento successivo, dove si accenna in termini generici a “una più incisiva risposta sanzionatoria e dissuasiva nei confronti di gravi fenomeni delinquenziali”. Questa spiegazione, a giudizio degli studiosi, risulta vaga e tautologica, non giustificando l’impiego dello strumento del decreto-legge.

Le Criticità del Decreto: Eterogeneità, Principio di Colpevolezza e Diritto al Dissenso

Un’altra criticità emersa riguarda la scarsa omogeneità del decreto, che affronta argomenti molto diversi tra loro, un “florilegio di presupposti” che conferisce al provvedimento un carattere “materialmente eterogeneo”. La Corte costituzionale (sentenza n. 146/2024) ha precisato che la compresenza in un decreto di troppe materie non legate da un obiettivo comune è indice della mancanza di una vera urgenza. Questa eterogeneità solleva dubbi sulla coerenza e sulla legittimità del decreto.

Per quanto attiene al diritto penale, il decreto ha introdotto con effetto immediato numerose nuove figure di reato, vale a dire senza vacatio legis. Secondo l’Associazione dei docenti italiani di diritto penale, questa decisione lede il principio costituzionale di responsabilità personale, espresso nell’articolo 27 della Costituzione, in quanto la persona che commette un’azione deve essere previamente informata della sua punibilità come reato (Corte cost. n. 54/2024). Tale mancanza di preavviso può generare situazioni di ingiustizia e incertezza nel diritto.

Alcune delle nuove circostanze aggravanti introdotte si concentrano sul luogo e sul contesto in cui il reato viene commesso, prevedendo pene più severe se il fatto si verifica nel corso di una manifestazione o di un corteo. Di conseguenza, queste previsioni mirano esplicitamente a colpire l’ambito in cui si manifesta il dissenso, in particolare “dove più acutamente emergono disagio, diseguaglianza e povertà”. Ciò suscita preoccupazioni circa la libertà di espressione e il diritto di manifestare pacificamente il proprio pensiero.

Blocchi Stradali, Rivolte in Carcere e Induzione all’Accattonaggio: Le Zone d’Ombra del Decreto

La relazione della Cassazione evidenzia come, per quanto riguarda i blocchi stradali, la norma sanzioni penalmente condotte che potrebbero rappresentare forme legittime di dissenso o protesta. La Corte si interroga se per configurare il reato sia necessaria una turbativa della circolazione tale da bloccare la stessa per un tempo apprezzabile, o se sia sufficiente anche una condotta idonea a rendere solo più difficoltoso il passaggio degli automezzi. Questa ambiguità potrebbe portare a interpretazioni restrittive e a un’applicazione eccessiva della norma.

Con riferimento alle insurrezioni nelle strutture detentive, il documento critica la disposizione che conferisce rilevanza penale a comportamenti potenzialmente riconducibili a espressioni legittime di disaccordo o a naturali manifestazioni di tensione all’interno di contesti carcerari già caratterizzati da forti restrizioni. Viene sottolineato il rischio di stabilire una responsabilità basata più sulla condizione di “detenuto” che su azioni effettivamente lesive, promuovendo logiche di diffidenza e categorizzazione degli individui in base al loro stato. Questa impostazione rischia di penalizzare ulteriormente una fascia di popolazione già emarginata e vulnerabile.

Inoltre, la disposizione relativa all’induzione all’accattonaggio sembra mescolare concetti di emarginazione sociale e condotta criminale, prevedendo sanzioni severe per azioni legate alla mera sopravvivenza. L’inserimento di una specifica aggravante per le violenze o minacce nei confronti di pubblici ufficiali appartenenti alle forze dell’ordine appare una duplicazione non necessaria di altre aggravanti già esistenti, creando una distinzione ingiustificata tra diverse categorie di pubblici ufficiali. Si profila il rischio di un diritto penale fondato sull’identità, più orientato a una simbolica riaffermazione dello Stato che alla reale protezione delle funzioni pubbliche.

Da ultimo, in merito alla regolamentazione dell’esecuzione della pena per le madri detenute, la relazione esprime un giudizio severo sulla riforma, segnalando la possibilità di ledere i diritti dei minori, di contravvenire alla Costituzione e alle convenzioni internazionali e di introdurre una forma di discriminazione indiretta a danno delle donne più fragili. Il pericolo è quello di un ritorno a un sistema sanzionatorio che sacrifica la finalità rieducativa della pena e la tutela del legame tra madre e figlio in nome dell’esigenza di sicurezza.

Verso un Diritto Penale Costituzionalmente Orientato: Riflessioni Conclusive

Il decreto Sicurezza, alla luce dell’analisi condotta dalla Cassazione, pone questioni cruciali sul futuro del diritto penale in Italia. È fondamentale che le politiche di sicurezza siano sempre bilanciate con il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi costituzionali. Un approccio eccessivamente repressivo e punitivo rischia di alimentare la marginalizzazione, la diseguaglianza e la sfiducia nelle istituzioni. È necessario, invece, promuovere un diritto penale costituzionalmente orientato, che ponga al centro la rieducazione del condannato, la tutela delle vittime e la prevenzione del crimine.

Amici lettori, riflettiamo insieme su un concetto fondamentale: il principio di legalità. Questo principio, cardine del nostro ordinamento giuridico, stabilisce che nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto come reato dalla legge. Ma non basta che una legge preveda un reato; è necessario che la legge sia chiara, precisa e accessibile a tutti. Questo è ciò che si intende per “tassatività” della norma penale. Una norma vaga o ambigua, che lascia spazio a interpretazioni arbitrarie, viola il principio di legalità e mette a rischio la libertà dei cittadini.

Approfondiamo ora un aspetto più complesso: il principio di offensività. Questo principio, meno noto ma altrettanto importante, stabilisce che un comportamento può essere punito come reato solo se lede effettivamente un bene giuridico meritevole di tutela. In altre parole, non basta che un comportamento sia contrario alla legge; è necessario che questo comportamento provochi un danno concreto a un interesse protetto dall’ordinamento giuridico. Ad esempio, una manifestazione di dissenso, anche se può causare qualche disagio, non può essere punita come reato se non lede effettivamente l’ordine pubblico o la sicurezza dei cittadini. Il principio di offensività serve a evitare che il diritto penale venga utilizzato per reprimere comportamenti innocui o per punire mere violazioni formali della legge.

Pensiamoci: un diritto penale che si allontana dai principi di legalità e offensività rischia di diventare uno strumento di oppressione, un’arma nelle mani del potere per silenziare il dissenso e reprimere le minoranze. Un diritto penale costituzionalmente orientato, invece, è una garanzia di libertà e di giustizia per tutti i cittadini.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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