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- Riforma mira a separare carriere, dibattito acceso dal 1946.
- Francia: Magistrati unici, ma solo giudici con garanzia di inamovibilità.
- Articolo 6 Convenzione Europea: Diritto a un processo equo.
La riforma, voluta dall’attuale governo, mira a tracciare confini netti tra le funzioni di giudice e pubblico ministero, introducendo concorsi specifici e percorsi di carriera distinti. Questo cambiamento epocale, tuttavia, non è esente da critiche e solleva interrogativi cruciali sul futuro della giustizia nel nostro Paese.
La ratio alla base della riforma risiede nella volontà di garantire maggiore imparzialità e specializzazione all’interno del sistema giudiziario. Si sostiene che la separazione delle carriere possa prevenire un’eccessiva commistione tra accusa e difesa, assicurando che i giudici non siano influenzati da precedenti esperienze come pubblici ministeri. Al contempo, si auspica che la specializzazione favorisca una maggiore efficienza e competenza in entrambi i ruoli.
Tuttavia, le voci contrarie non mancano. I detrattori della riforma temono che la separazione delle carriere possa compromettere l’indipendenza del pubblico ministero, rendendolo più vulnerabile alle pressioni del potere politico. Si paventa il rischio che il PM diventi una sorta di “super poliziotto” al servizio del governo, perdendo quella autonomia e terzietà che sono fondamentali per un corretto funzionamento della giustizia.
Il dibattito sulla separazione delle carriere affonda le sue radici nella storia italiana, risalendo addirittura all’Assemblea Costituente tra il *1946 e il 1947. Negli anni successivi, la questione è stata ripresa a più riprese, in particolare dopo la riforma del Codice di procedura penale del 1988, che ha introdotto un sistema accusatorio. In quel contesto, si è fatta strada l’idea di separare anche le carriere dei magistrati, creando percorsi professionali distinti fin dall’inizio.
Negli anni, esponenti di diversi schieramenti politici hanno sostenuto la necessità di una riforma in tal senso. Tuttavia, la questione è diventata particolarmente sensibile quando il centrodestra di Silvio Berlusconi ne ha fatto un punto cardine del suo programma, sovrapponendosi alle polemiche contro la magistratura. In questo clima, sono nati diversi progetti di riforma, alcuni dei quali sono stati approvati solo parzialmente o neutralizzati da governi di centrosinistra.

Analisi comparata dei modelli europei
Per comprendere appieno le implicazioni della riforma italiana, è fondamentale analizzare i modelli adottati in altri Paesi europei. La realtà, tuttavia, è tutt’altro che uniforme, con una varietà di approcci che riflettono le diverse tradizioni giuridiche e le evoluzioni storico-politiche di ciascun paese.
In Francia, ad esempio, esiste un corpo giudiziario “unico”, con una distinzione tra magistrats de siège (giudici) e magistrats de parquet (pubblici ministeri). I passaggi tra le due funzioni sono frequenti, ma solo i giudici godono della garanzia di inamovibilità. I PM sono subordinati al Ministro della Giustizia, che ha il potere di trasferirli discrezionalmente. Questo modello, pur garantendo una certa flessibilità, solleva interrogativi sulla reale indipendenza del pubblico ministero.
La Germania, al contrario, presenta una separazione più marcata tra le carriere. In questo Paese, i pubblici ministeri operano come dipendenti statali, soggetti alle indicazioni del Procuratore Generale e del Ministro della Giustizia. Sebbene i passaggi di carriera siano possibili, sono meno frequenti rispetto alla Francia. Inoltre, la competenza in materia di giustizia è principalmente dei Länder (stati federati), il che complica ulteriormente il quadro.
In Spagna, esiste una separazione formale delle carriere, con un Procuratore Generale dello Stato nominato dal Re su proposta del governo. Questo modello, pur garantendo una certa autonomia, non è esente da critiche, soprattutto per quanto riguarda il ruolo del governo nella nomina del Procuratore Generale.
Il sistema inglese e gallese, basato sulla common law, prevede che la funzione di PM sia svolta dal Crown Prosecutor, un avvocato che dipende dal Chief Crown Prosecutor e dal Director of Public Prosecutions, entrambi nominati dal governo. Le indagini sono condotte dalla polizia, e il PM decide se esercitare o meno l’azione penale. Questo modello, pur garantendo una certa efficienza, solleva interrogativi sulla terzietà del pubblico ministero, che è strettamente legato al potere esecutivo.
Il Portogallo, infine, si contraddistingue per una chiara ripartizione costituzionale tra la magistratura giudicante e la magistratura inquirente. I PM godono di piena autonomia e hanno un loro statuto, il che garantisce una maggiore indipendenza rispetto al potere politico.
Questa panoramica dei modelli europei evidenzia come non esista una soluzione univoca al problema della separazione delle carriere e dell’indipendenza del PM. Ogni paese ha adottato un approccio diverso, in base alla propria storia, cultura e tradizioni giuridiche.
- Finalmente una riforma che potrebbe aumentare l'imparzialità... 👍...
- Temo che questa riforma possa rendere il PM troppo debole... 😔...
- E se invece di separare, ci concentrassimo sulla formazione... 🤔...
L’indipendenza del pm: un principio cardine
Al di là delle diverse modalità di separazione delle carriere, un principio fondamentale che accomuna tutti i sistemi giuridici europei è quello dell’indipendenza del pubblico ministero. Questo principio, sancito da diverse convenzioni internazionali e dalla giurisprudenza delle Corti europee, mira a garantire che il PM possa svolgere le proprie funzioni in piena autonomia, senza indebite pressioni o interferenze da parte del potere politico o di altri soggetti.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha stabilito che un PM che non offra sufficienti garanzie di indipendenza dal potere politico non può essere considerato un’autorità giudiziaria ai fini dell’emissione di un mandato di arresto europeo. Questa sentenza, pur riguardando un caso specifico, ha una portata generale, in quanto sottolinea l’importanza di tutelare l’indipendenza del PM per garantire il rispetto dei principi dello Stato di diritto.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), nel caso Kövesi c. Romania, ha affermato che la rimozione ingiustificata di un procuratore a causa delle sue critiche a una proposta di legge governativa costituisce una violazione della libertà di espressione e mina l’indipendenza del sistema giudiziario nel suo complesso. Questa sentenza, che ha avuto un grande impatto mediatico, ha ribadito come l’indipendenza del PM sia un elemento essenziale per il corretto funzionamento della giustizia e per la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.
Organismi internazionali come la Commissione di Venezia, il Consiglio Consultivo dei Procuratori Europei (CCPE) e la Rete Europea dei Consigli di Giustizia (ENCJ) promuovono l’indipendenza del PM, pur riconoscendo la possibilità di un’organizzazione gerarchica delle procure, a condizione che le direttive impartite ai PM siano formulate per iscritto e che sia garantita la possibilità di impugnarle. Questi organismi, attraverso le loro raccomandazioni e i loro pareri, contribuiscono a definire gli standard europei in materia di indipendenza del PM e a monitorare il rispetto di tali standard nei diversi Paesi membri.
Verso un nuovo equilibrio: riflessioni conclusive
La riforma italiana della separazione delle carriere si inserisce in un contesto europeo variegato e complesso. Non esiste un modello unico e universalmente valido, ma piuttosto una pluralità di approcci che riflettono le specificità di ciascun sistema giuridico.
La sfida per l’Italia è quella di trovare un equilibrio tra l’esigenza di garantire l’indipendenza del PM e la necessità di assicurare la trasparenza e l’accountability della magistratura. La riforma del CSM, con l’introduzione del sorteggio come metodo di elezione dei membri, è un tentativo di superare le logiche correntizie e clientelari che hanno caratterizzato il passato, ma solleva anche interrogativi sulla rappresentatività e sulla competenza dei membri stessi.
Il dibattito sulla separazione delle carriere e sull’indipendenza del PM è destinato a proseguire nei prossimi mesi, con l’obiettivo di definire un modello che sia in grado di garantire un sistema giudiziario efficiente, imparziale e indipendente, in linea con i principi dello Stato di diritto.
A questo punto, è utile per il lettore considerare un concetto legale di base: il principio del giusto processo. Questo principio, sancito dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dall’articolo 111 della Costituzione Italiana, garantisce a ogni persona il diritto a un processo equo, imparziale e tempestivo. L’indipendenza del PM è un elemento fondamentale per assicurare il rispetto di questo principio.
Un concetto legale più avanzato, applicabile al tema dell’articolo, è quello della responsabilità ministeriale. Questo concetto, che si riferisce alla responsabilità politica e giuridica dei membri del governo per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, è strettamente legato all’indipendenza del PM. Se il PM è soggetto alle direttive del governo, la sua autonomia e terzietà possono essere compromesse, mettendo a rischio il principio del giusto processo e la fiducia dei cittadini nella giustizia.
In conclusione, la separazione delle carriere e l’indipendenza del PM* sono temi complessi e delicati, che richiedono una riflessione approfondita e un dibattito aperto e costruttivo. La posta in gioco è alta: il futuro della giustizia nel nostro Paese e la tutela dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini. Ed è questa la riflessione che ciascuno di noi, nel suo piccolo, è chiamato a fare.
- Posizione dell'Associazione Magistrati sulla riforma della separazione delle carriere.
- Posizione ufficiale dell'ANM sulla separazione delle carriere e preoccupazioni associate.
- Analisi comparata del modello francese di magistratura, utile per l'articolo.
- Approfondimento sul tema della separazione delle carriere e il processo.