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- Il 21,5% delle donne subisce stalking da un ex partner.
- Il 65% delle persecuzioni avviene tramite telefono.
- Messaggi privati: prova principale, ma serve autenticità.
## Una nuova forma di violenza
Il 25 ottobre 2025, la cronaca giudiziaria continua a mettere in luce una problematica sempre più diffusa e allarmante: il cyberstalking post-separazione. Questo fenomeno, una vera e propria evoluzione perversa dello stalking tradizionale, sfrutta le tecnologie digitali per perpetrare molestie, minacce e violazioni della privacy ai danni di ex partner, trasformando la fine di una relazione in un incubo senza fine. Partendo da una recente sentenza per stalking telefonico, questo articolo si propone di analizzare le sfaccettature di questa forma di violenza, le lacune legislative che ne ostacolano il contrasto e le possibili strategie per tutelare le vittime.
L’uso pervasivo dei dispositivi digitali ha reso il cyberstalking un’arma insidiosa, capace di raggiungere le vittime ovunque e in qualsiasi momento. L’anonimato offerto dalla rete, la facilità di accesso a informazioni personali e la possibilità di diffondere contenuti lesivi con un semplice click amplificano il potenziale dannoso di queste condotte, rendendo il cyberstalking una forma di violenza particolarmente difficile da contrastare. Si stima che il 21,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni abbia subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner, un dato che evidenzia la portata del problema e la necessità di interventi urgenti.
Il cyberstalking post-separazione non è un fenomeno monolitico, ma si manifesta attraverso una vasta gamma di comportamenti, ognuno con un suo specifico grado di gravità e impatto sulla vita della vittima. Tra le forme più comuni di cyberstalking, si possono citare:
- Accesso abusivo agli account social: Il cyberstalker, sfruttando password rubate o ottenute con l’inganno, si introduce negli account social della vittima (Facebook, Instagram, ecc.), spiandone le attività, rubando informazioni personali, pubblicando contenuti offensivi a suo nome o modificandone le impostazioni per limitarne la libertà di espressione.
- Diffusione di informazioni private online (doxing): Il cyberstalker pubblica online informazioni personali della vittima (indirizzo di casa, numero di telefono, dati bancari, ecc.), con l’intento di intimidirla, spaventarla o danneggiarne la reputazione.
- Revenge porn: Il cyberstalker diffonde online immagini o video intimi della vittima, ottenuti durante la relazione o carpiti con l’inganno, con l’unico scopo di umiliarla, denigrarla e distruggerne la vita sociale.
- Molestie e minacce online: Il cyberstalker invia alla vittima email, messaggi o commenti sui social media dal contenuto offensivo, minaccioso, intimidatorio o persecutorio, creando un clima di terrore e ansia costante.
- Cyberbullismo e campagne diffamatorie: Il cyberstalker orchestra campagne di cyberbullismo o diffamazione online contro la vittima, coinvolgendo altre persone e sfruttando la viralità dei social media per amplificare il danno.
- Monitoraggio della posizione tramite GPS o app spia: Il cyberstalker utilizza app spia o dispositivi GPS per monitorare costantemente la posizione della vittima, violandone la privacy e limitandone la libertà di movimento.
Queste condotte, singolarmente o combinate tra loro, possono avere conseguenze devastanti sulla vita della vittima, causando ansia, depressione, disturbi del sonno, attacchi di panico, isolamento sociale e persino pensieri suicidi.
La conferma di una condanna può essere difficile, ma non impossibile. La corte di cassazione ritiene perseguibile penalmente l’autore di molestie che abbia agito con dolo e con un biasimevole motivo.
Le zone grigie della legge: lacune legislative e difficoltà probatorie
Nonostante l’articolo 612-bis del codice penale punisca gli atti persecutori, il cyberstalking post-separazione presenta delle specificità che rendono difficile l’applicazione della norma. Le lacune legislative in materia sono evidenti, soprattutto per quanto riguarda le nuove forme di cyberviolenza, come il doxing e il revenge porn, che non sono espressamente menzionate nel codice penale.
Una delle principali difficoltà risiede nella prova del nesso causale tra le azioni online e il danno psicologico subito dalla vittima. Dimostrare che un determinato comportamento online ha causato un “perdurante e grave stato di ansia o di paura” o ha “alterato le abitudini di vita” della vittima può essere estremamente complesso, soprattutto in assenza di prove concrete e tangibili. Spesso, le vittime di cyberstalking si sentono sole e disorientate, incapaci di raccogliere le prove necessarie per denunciare il loro persecutore.
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dall’anonimato offerto dalla rete, che rende difficile identificare e perseguire i cyberstalker. Spesso, questi utilizzano profili falsi, indirizzi IP anonimi o server situati in paesi stranieri per nascondere la loro identità e sfuggire alla giustizia. Le indagini sul cyberstalking richiedono competenze tecniche specifiche e risorse adeguate, che spesso mancano alle forze dell’ordine.
Inoltre, la giurisprudenza in materia di cyberstalking è ancora in evoluzione, e non sempre è facile interpretare e applicare le norme esistenti ai nuovi casi che emergono. La mancanza di una definizione univoca di cyberstalking e la difficoltà di distinguere tra semplici molestie online e veri e propri atti persecutori rendono il lavoro dei giudici particolarmente complesso.
La difficoltà di bloccare i messaggi non è un fattore rilevante: la possibilità di interrompere l’azione perturbatrice non può che sorgere dopo che la molestia si è già realizzata.

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Misure di protezione esistenti e proposte di riforma
Le misure di protezione attualmente disponibili per le vittime di stalking e cyberstalking, come l’ammonimento del questore, l’ordine di protezione e il divieto di avvicinamento, si rivelano spesso insufficienti nel contesto della cyberviolenza domestica. L’ammonimento del questore, ad esempio, potrebbe non essere efficace contro un cyberstalker che agisce dall’anonimato o da un paese straniero. L’ordine di protezione e il divieto di avvicinamento, pur utili in alcuni casi, non impediscono al carnefice di continuare a molestare la vittima online.
Tuttavia, le forze dell’ordine possono acquisire informazioni utili a far luce sulla dinamica di persecuzione: i messaggi privati rappresentano una delle principali fonti di prova, ma la loro acquisizione e produzione in giudizio deve avvenire secondo criteri rigorosi, per garantirne:
- Autenticità: i messaggi devono essere riferibili in modo certo all’indagato/imputato.
- Integrità: è essenziale che non siano stati alterati, manipolati o estratti dal loro contesto originale.
- Ammissibilità: la loro raccolta deve avvenire nel pieno rispetto delle normative vigenti in materia di riservatezza e tutela della sfera privata.
Di fronte a queste criticità, la necessità di una riforma legislativa per contrastare efficacemente il cyberstalking post-separazione è sempre più impellente. Tra le proposte avanzate, vi è l’inasprimento delle pene per i reati di cyberstalking, la creazione di reati specifici per alcune forme di cyberviolenza (come il revenge porn e il doxing) e l’introduzione di strumenti di indagine più efficaci per identificare e perseguire i cyberstalker.
Alcuni studi hanno dimostrato che nel 65% dei casi la persecuzione si è consumata per telefono e nel 56,7% dei casi utilizzando mail, sms, web-social e messaggistica istantanea.
Inoltre, è necessario promuovere una maggiore consapevolezza sui rischi del cyberstalking e fornire un sostegno adeguato alle vittime, creando centri di ascolto specializzati e offrendo assistenza legale e psicologica gratuita. La formazione delle forze dell’ordine e dei magistrati è un altro aspetto fondamentale, per garantire che siano in grado di affrontare efficacemente i casi di cyberstalking e di tutelare i diritti delle vittime.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che la cyberviolenza deve essere considerata a tutti gli effetti come violenza contro le donne e che, di conseguenza, le autorità nazionali devono prevedere l’applicazione di regole più stringenti.
Non sempre i procedimenti si concludono con una condanna: in molti casi, le accuse si basano su letture soggettive di messaggi ambigui, conflitti sentimentali o professionali degenerati e denunce strumentali in contesti di separazione o rivalità.
Oltre la legge: un cambiamento culturale necessario
La lotta contro il cyberstalking post-separazione non può limitarsi a un intervento legislativo. È necessario un cambiamento culturale profondo, che promuova il rispetto della privacy, la responsabilità online e la consapevolezza dei rischi legati all’uso delle nuove tecnologie. L’educazione dei giovani all’uso consapevole e responsabile dei social media è fondamentale, per prevenire comportamenti lesivi e promuovere una cultura del rispetto online.
È necessario contrastare la cultura della colpevolizzazione della vittima, che spesso porta a minimizzare la gravità del cyberstalking e a deresponsabilizzare il persecutore. Le vittime di cyberstalking devono essere incoraggiate a denunciare il loro persecutore e a chiedere aiuto, senza sentirsi giudicate o colpevoli.
Inoltre, è necessario promuovere una maggiore consapevolezza sul cyberstalking all’interno della società civile, sensibilizzando l’opinione pubblica sui rischi di questa forma di violenza e incoraggiando la solidarietà e il sostegno alle vittime. La collaborazione tra istituzioni, forze dell’ordine, operatori sociali e società civile è fondamentale per creare una rete di protezione efficace intorno alle vittime di cyberstalking e per contrastare questa forma di violenza in tutte le sue manifestazioni.
I comportamenti molesti, ossessivi o persecutori ricostruiti partendo dall’analisi dei messaggi scambiati tramite Instagram, Facebook, WhatsApp, Telegram, Twitter (X) e altre piattaforme sono potenzialmente rilevanti sul piano penale.
In un procedimento penale per stalking o cyberstalking, i messaggi privati rappresentano una delle principali fonti di prova, e la strategia difensiva dipende dalla natura dei messaggi, dal contesto relazionale e dalla documentazione fornita dalla presunta persona offesa.







