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- Nel 47% dei casi, le donne hanno subito violenza digitale.
- Il 59% delle giovani tra 16 e 24 anni ne sono vittime.
- Nel 19% dei casi, invio di contenuti sessuali non richiesti.
- Manipolazione emotiva online e body shaming nel 15% dei casi.
- Art. 612-bis c.p. modificato nel 2013 per includere strumenti informatici.
Questo caso, caratterizzato da minacce di morte, appostamenti e una serie di messaggi dal contenuto intimidatorio, solleva interrogativi cruciali sull’effettiva capacità della legislazione vigente di tutelare le vittime di persecuzioni che si consumano online. Ci si chiede, in particolare, se gli strumenti normativi attuali siano sufficientemente efficaci per contrastare un fenomeno in continua espansione, alimentato in maniera esponenziale dalla sempre maggiore pervasività dei social media e delle nuove tecnologie di comunicazione.
Le cronache locali ci restituiscono l’immagine di un uomo, identificato con il soprannome di “Satizzu”, che a partire dal maggio 2017 avrebbe dato inizio a una sistematica campagna di vessazioni nei confronti della sua ex compagna, tale Concetta Iulio, e del suo nuovo compagno, Nino Forni. Le condotte persecutorie messe in atto dall’uomo avrebbero incluso minacce di morte esplicite, appostamenti ripetuti nei pressi dei luoghi di lavoro e delle abitazioni delle vittime, fino ad arrivare al ritrovamento di inquietanti “messaggi” a carattere intimidatorio, come cartucce, teste di volatili e croci di legno, lasciati in prossimità delle loro abitazioni. Tali comportamenti, secondo quanto accertato in sede processuale, avrebbero ingenerato nelle vittime un grave e persistente stato di ansia e paura, finendo per limitarne significativamente la libertà personale e la sicurezza.
Il Tribunale di Vibo Valentia, al termine del processo, ha inflitto all’imputato una pena detentiva pari a quattro anni e sei mesi di reclusione, una condanna che si è rivelata più severa rispetto alla richiesta di due anni avanzata dal pubblico ministero. Tuttavia, proprio questa vicenda, al pari di altre simili che si sono verificate nel corso degli ultimi anni, mette in evidenza le lacune esistenti nel quadro normativo e le difficoltà che le vittime di stalking digitale incontrano nel tentativo di ottenere giustizia e di veder riconosciuti i propri diritti.
Articolo 612-bis c.p.: una tutela sufficiente?
L’articolo 612-bis del codice penale, introdotto nell’ordinamento italiano nel lontano 2009, persegue lo scopo di sanzionare gli atti persecutori, descrivendoli come azioni insistenti, minacciose o moleste, capaci di provocare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero di suscitare un fondato timore per la propria incolumità o quella di un prossimo congiunto o di persona ad essa legata da relazione affettiva, oppure di costringerla a modificare le proprie abitudini di vita. Ma ci si interroga se questa definizione, così come formulata, sia effettivamente in grado di abbracciare e ricomprendere tutte le diverse forme di molestie che si manifestano nel mondo digitale.
Un’ulteriore questione riguarda l’adeguatezza delle pene previste per il reato di stalking, soprattutto con riferimento alle condotte persecutorie che si consumano online, spesso attraverso l’utilizzo di profili falsi, la diffusione di messaggi anonimi o la pubblicazione non autorizzata di informazioni private. In questo contesto, è lecito domandarsi se le sanzioni attualmente previste siano sufficienti a dissuadere i potenziali autori di tali comportamenti e a garantire una protezione efficace alle vittime.
Il legislatore, nel tentativo di fornire una risposta a queste problematiche, è intervenuto nel 2013 modificando l’articolo 612-bis del codice penale, al fine di includere esplicitamente le condotte persecutorie commesse “attraverso strumenti informatici o telematici”. Tuttavia, nonostante questo intervento, permangono ancora dubbi e incertezze sull’effettiva portata della norma e sulla sua capacità di adattarsi alle peculiarità della violenza digitale.

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Le molteplici facce della violenza digitale
La violenza digitale si manifesta in una pluralità di forme, che vanno ben oltre il semplice cyberstalking. Si pensi, ad esempio, al fenomeno del revenge porn, ovvero la diffusione non consensuale di immagini o video a contenuto intimo, oppure all’hate speech, ovvero l’incitamento all’odio e alla discriminazione attraverso l’utilizzo di piattaforme online. Non vanno dimenticati, inoltre, il doxing, ovvero la diffusione di informazioni personali al fine di danneggiare o intimidire la vittima, e tutta una serie di altre condotte lesive che si consumano quotidianamente nel cyberspazio.
Tutti questi fenomeni mettono a dura prova il sistema penale, che spesso si rivela impreparato ad affrontare la complessità e la velocità con cui tali condotte si diffondono online. A tal proposito, una recente indagine promossa da Samsung Electronics Italia ha evidenziato come quasi una donna su due (il 47%) abbia subito almeno un episodio di violenza digitale nel corso della propria vita, con una percentuale che sale addirittura al 59% tra le giovani donne di età compresa tra i 16 e i 24 anni. Tra le forme di violenza digitale più diffuse, emergono l’invio di contenuti sessuali non richiesti (nel 19% dei casi), la manipolazione emotiva online (nel 15% dei casi) e il body shaming e l’hate speech (anche questi ultimi nel 15% dei casi).
La giurisprudenza, nel corso degli ultimi anni, si è ripetutamente pronunciata sulla configurabilità del reato di stalking in caso di condotte persecutorie perpetrate attraverso l’utilizzo di strumenti informatici e telematici. La Corte di Cassazione, ad esempio, ha affermato che l’invio di messaggi minatori e ingiuriosi tramite Facebook può integrare il reato di stalking, qualora tali condotte siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura (Cass. Pen., sez. V, 24 giugno 2011, n. 25488). Nonostante questi importanti progressi, tuttavia, il dibattito sull’adeguatezza delle tutele offerte alle vittime di cyberstalking e sulla necessità di un intervento normativo più specifico rimane tuttora aperto e vivace.
Giulia Hamiti, vittima di stalking digitale da ben sette anni, testimonia: “È una battaglia che non finisce mai. Ogni giorno devo fare i conti con profili falsi creati ad arte per diffamarmi, messaggi pieni di odio e la paura costante che il mio stalker possa passare dalle parole ai fatti, arrivando a farmi del male fisicamente. La legge, pur unfortunately, non ci protegge come dovrebbe”.
L’avvocato Lucia Gallone, esperta in diritto penale e specializzata in reati informatici, sottolinea come “le misure di protezione esistenti, come l’ammonimento e l’ordine restrittivo, si rivelino spesso del tutto inefficaci nel contrastare il fenomeno del cyberstalking. È assolutamente necessario un intervento legislativo che preveda pene più severe per i cyberstalker e che doti le forze dell’ordine di strumenti di indagine più efficaci e tecnologicamente avanzati”.
Lo psicologo Leonardo Abazia, che da anni si occupa di assistere le vittime di stalking, evidenzia l’impatto psicologico devastante che tali condotte possono avere sulla vita delle persone: “Le vittime di stalking vivono in un costante stato di allerta, in preda all’ansia e alla paura. È fondamentale offrire loro un supporto psicologico specializzato, in grado di aiutarle a superare il trauma e a ricostruire la propria vita”.
Quali prospettive per il futuro della legislazione?
Alla luce di quanto emerso, appare evidente la necessità di un intervento legislativo più incisivo, che tenga conto delle specificità della violenza digitale e che rafforzi in maniera significativa le misure di protezione a favore delle vittime. In questa direzione, appare fondamentale recepire le indicazioni provenienti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che nel caso Buturuga contro Romania (2020) ha affermato con chiarezza che la cyberviolenza deve essere considerata a tutti gli effetti come una forma di violenza contro le donne e che, di conseguenza, le autorità nazionali devono prevedere l’applicazione di regole più stringenti e di meccanismi di tutela più efficaci.
In concreto, si potrebbe pensare all’introduzione di nuove figure di reato specifiche per il cyberstalking, che tengano conto delle peculiarità di tali condotte e che prevedano pene più severe per chi utilizza strumenti informatici e telematici per commettere atti persecutori. Un’altra strada da percorrere potrebbe essere quella della creazione di unità specializzate all’interno delle forze dell’ordine, composte da personale altamente qualificato e dotato delle competenze tecniche necessarie per contrastare efficacemente la violenza digitale.
Infine, appare fondamentale investire in campagne di prevenzione e di educazione digitale, al fine di sensibilizzare i cittadini sui rischi e sulle insidie del web e di promuovere un uso consapevole e responsabile delle nuove tecnologie. Solo attraverso un approccio integrato e multidimensionale sarà possibile contrastare efficacemente il fenomeno della violenza digitale e garantire una protezione adeguata alle vittime.
Un sistema penale all’altezza della sfida digitale
Il caso del “vibonese” è uno specchio impietoso che riflette le fragilità del nostro sistema penale di fronte alla crescente minaccia della violenza digitale. È imperativo che il legislatore prenda atto di questa realtà e intervenga con urgenza per colmare le lacune normative esistenti e per dotare le forze dell’ordine e la magistratura di strumenti adeguati a contrastare efficacemente questo fenomeno. La posta in gioco è alta: la tutela dei diritti fondamentali delle persone, la loro libertà e la loro sicurezza. Non possiamo permetterci di rimanere inerti di fronte a una minaccia che si fa ogni giorno più concreta e pervasiva.
Amici lettori, spero che questo approfondimento vi sia stato utile. Vorrei chiudere con una riflessione: spesso si pensa che la legge sia qualcosa di lontano dalla nostra vita quotidiana, ma in realtà è uno strumento fondamentale per tutelare i nostri diritti e la nostra sicurezza. A tal proposito, è importante conoscere almeno le nozioni base del diritto penale, come ad esempio la differenza tra i vari tipi di reato e le pene previste per ciascuno di essi. Sapere cosa è un reato di stalking e quali sono i nostri diritti in caso di minacce o molestie può fare la differenza.
Per chi volesse approfondire, un concetto legale avanzato applicabile al tema dello stalking digitale è quello del “reato di pericolo”. Lo stalking, infatti, non richiede necessariamente che la vittima subisca un danno fisico o psichico concreto, ma è sufficiente che le condotte persecutorie siano idonee a ingenerare nella vittima un fondato timore per la propria incolumità o a alterare le sue abitudini di vita. Questo significa che la legge interviene anche in una fase preventiva, per evitare che la situazione degeneri e che la vittima subisca conseguenze più gravi. Riflettiamoci: la legge, se ben conosciuta e applicata, può essere un’arma potente per difenderci e per costruire una società più giusta e sicura.








