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- La Corte esamina questioni sollevate da 14 autorità giurisdizionali.
- Convenzione di Merida ratificata nel 2009, al centro del dibattito.
- Legge 114/2024 ha abrogato il reato di abuso d'ufficio.
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La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legittimità dell’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, una questione che ha sollevato un ampio dibattito nel panorama giuridico e politico italiano. La decisione, emessa a seguito dell’udienza pubblica del 7 maggio 2025, ha visto la Consulta esaminare le questioni di legittimità costituzionale sollevate da ben quattordici autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di Cassazione.
Il cuore della questione: la Convenzione di Merida e gli obblighi internazionali
Il fulcro del contendere risiedeva nella presunta violazione degli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, nota come Convenzione di Merida, ratificata dall’Italia nel 2009. I giudici rimettenti, tra cui la Cassazione, temevano che l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, sancita dalla legge 114 del 2024, potesse compromettere l’intero sistema di prevenzione e contrasto agli illeciti nella pubblica amministrazione. In particolare, si contestava la mancata previsione di strumenti alternativi di controllo o di sanzione disciplinare, che avrebbero generato un vuoto normativo.
L’articolo 19 della Convenzione di Merida, che invita gli Stati aderenti a “considerare” l’introduzione di sanzioni penali per condotte corrispondenti all’abuso d’ufficio, è stato al centro dell’attenzione. Benché la formulazione adoperata concedesse una certa libertà d’azione, la Suprema Corte sosteneva che ciò non esentasse lo Stato dal dovere di assicurare una protezione basilare contro le irregolarità nel comparto pubblico. La riforma Nordio, nell’interpretazione dei giudici di legittimità, aveva eliminato tale meccanismo di salvaguardia senza predisporre strumenti sostitutivi di pari efficacia.
- 👍 Ottima decisione della Corte, finalmente si sblocca l'Italia......
- 😡 Abrogare l'abuso d'ufficio è un errore gravissimo, favorisce......
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Le argomentazioni a favore dell’abrogazione
A difesa della scelta del governo, un nutrito collegio di avvocati, tra cui illustri giuristi come il professor Vittorio Manes, ha sostenuto la legittimità dell’abrogazione. Si è evidenziato come l’introduzione di una nuova norma sul peculato per distrazione potesse coprire eventuali vuoti lasciati dall’abrogazione del 323 cp, rispettando i requisiti europei per la protezione degli interessi finanziari.
Il professor Manes, in particolare, ha messo in dubbio l’esistenza di un obbligo di tutela penale derivante dalla Convenzione di Merida, sottolineando come il principio di sussidiarietà stabilisca che la tutela penale non è mai l’unico strumento possibile. Ha inoltre evidenziato la varietà di risposte legislative fornite dagli ordinamenti degli Stati, alcuni dei quali non contemplano affatto una fattispecie penale dedicata all’abuso d’ufficio.
La tesi di un presunto obbligo di “stand-still”, in base al quale una volta prevista una tutela penale, non si potrebbe più tornare indietro, è stata ritenuta “assai sorprendente”, in quanto implicherebbe vincolare le scelte punitive e discrezionali del Parlamento a una sorta di fissità irreversibile, paralizzando l’evoluzione del diritto penale.

La decisione della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, pur ritenendo ammissibili le questioni sollevate in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione di Merida, le ha dichiarate “infondate”. Nella nota diffusa dalla Consulta si legge che dalla Convenzione non è ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale. La motivazione della sentenza sarà pubblicata nelle prossime settimane.
La decisione della Corte Costituzionale rappresenta un importante punto di svolta nel dibattito sull’abuso d’ufficio, confermando la discrezionalità del legislatore in materia penale e la non vincolatività della Convenzione di Merida in relazione alla specifica fattispecie criminosa.
Un equilibrio delicato: tra tutela della legalità e discrezionalità amministrativa
La pronuncia della Corte Costituzionale apre a una riflessione più ampia sul delicato equilibrio tra la tutela della legalità nella pubblica amministrazione e la necessità di garantire la discrezionalità amministrativa. L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, pur non essendo incostituzionale, non deve rappresentare un via libera all’illegalità o al malgoverno. È fondamentale che il legislatore, nel pieno rispetto della propria discrezionalità, individui strumenti alternativi efficaci per prevenire e contrastare gli abusi nel settore pubblico, garantendo la trasparenza, l’efficienza e l’imparzialità dell’azione amministrativa.
Amici, la decisione della Corte Costituzionale sull’abuso d’ufficio ci invita a riflettere su un tema cruciale: il rapporto tra legge e potere. La legge, per definizione, dovrebbe limitare il potere, ma quando la legge diventa troppo vaga o incerta, rischia di paralizzare l’azione amministrativa e di favorire l’immobilismo.
Una nozione legale di base che si applica qui è il principio di legalità, che stabilisce che la pubblica amministrazione può agire solo nei limiti e nelle forme previste dalla legge. Una nozione legale più avanzata è quella della discrezionalità amministrativa, che consente alla pubblica amministrazione di scegliere tra diverse opzioni possibili per raggiungere un determinato obiettivo, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.
La sfida è trovare un equilibrio tra questi due principi, in modo da garantire sia la legalità dell’azione amministrativa sia la sua efficacia. La decisione della Corte Costituzionale ci ricorda che questo equilibrio è sempre dinamico e che richiede un continuo sforzo di riflessione e di adattamento.