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Pene sostitutive: la Corte Costituzionale interviene sui reati ostativi

La sentenza n. 139/2025 della Corte Costituzionale fa chiarezza sull'esclusione dalle pene sostitutive per i condannati per reati ostativi, aprendo un dibattito cruciale tra sicurezza e rieducazione.
  • Riforma del 2022: aumento delle pene alternative.
  • Sentenza 139/2025: esclusione reati ostativi è costituzionale.
  • Articolo 4-bis: reati ostativi esclusi dalle pene sostitutive.

La Corte ha posto l’accento su come l’aumento delle opzioni di pene alternative e la maggiore facilità di accesso a tali misure, introdotte dalla riforma del 2022, rappresentino un progresso notevole nell’applicazione, da parte del legislatore stesso, dei principi costituzionali che regolano la materia penale.

È stato inoltre rimarcato che tali sanzioni, differenti dalla detenzione, si dimostrano generalmente più efficaci nel garantire la riabilitazione del condannato, poiché eludono le conseguenze negative che il carcere può avere sulla sua socialità e, contemporaneamente, lo guidano in un cammino che enfatizza l’importanza del lavoro, dell’istruzione, del consolidamento delle relazioni familiari e sociali, delle opportunità di valutare criticamente le azioni passate e, possibilmente, di una riconciliazione con la persona offesa dal reato.

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La Corte Costituzionale ha recentemente affrontato la questione dell’esclusione dalle pene sostitutive riguardante coloro che sono stati condannati per reati ostativi, aprendo a una riflessione estesa all’interno della comunità giuridica. Con la pubblicazione della sentenza n. 139/2025 il 29 luglio 2025, è emerso chiaramente che questa esclusione non contrasta con i principi costituzionali; tuttavia, la Corte ha sottolineato con fermezza come sia fondamentale che le modalità di esecuzione delle pene privative della libertà rispettino sempre gli imprescindibili valori di *rieducazione e umanità, così come delineato dalla nostra Costituzione Italiana.

La Riforma Cartabia e i Reati Ostativi

La riforma Cartabia, implementata con decreto legislativo, ha introdotto modifiche significative al sistema penale, in particolare riguardo alle pene sostitutive. Queste misure alternative al carcere, come il lavoro di pubblica utilità o la semilibertà, mirano a favorire il reinserimento sociale del condannato, evitando gli effetti desocializzanti della detenzione. Tuttavia, la riforma ha anche previsto delle preclusioni, escludendo l’accesso a tali benefici per i condannati per i cosiddetti “reati ostativi”, elencati nell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario. Tra questi reati figurano delitti particolarmente gravi come quelli commessi per finalità di terrorismo, l’associazione di tipo mafioso, la riduzione in schiavitù, il traffico di stupefacenti e la violenza sessuale.

La Corte d’Appello di Firenze aveva sollevato dubbi sulla costituzionalità di questa preclusione, ritenendola in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza, e con l’articolo 27, che afferma la funzione rieducativa della pena. La Corte d’Appello ha rilevato che la riforma Cartabia non ha rispettato il principio di delega sancito dalla legge 134/2021. Questa norma aveva l’obiettivo di attribuire al giudice un potere discrezionale nell’individuare sanzioni idonee a favorire sia la rieducazione del condannato, sia l’efficace prevenzione della recidiva.

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  • Ma se la rieducazione fosse un investimento a lungo termine... 🤔...

La Decisione della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, nel riconoscere una certa libertà d’azione al legislatore riguardo alla qualificazione delle fattispecie penali meritevoli delle pene sostitutive, ha enfatizzato come questa libertà debba comunque sottomettersi ai dettami dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione. È stato evidenziato dalla Corte come l’operato legislativo non abbia eluso i parametri fissati nella legge delegativa approvata dal Parlamento, obbligando così il Governo a garantire un’integrazione efficace tra l’accessibilità delle nuove forme punitive alternative e le restrizioni previste dal sistema penitenziario vigente.

Inoltre, è stata rigettata qualsiasi affermazione secondo cui il regime normativo impugnato infrangesse il fondamentale principio dell’uguaglianza. Infatti, si è chiarito che spetta al legislatore decidere quali categorie criminose possano beneficiare delle recenti pene alternative rispettando sempre criteri sensati ed equilibrati. Si può quindi considerare legittimo per lo stesso escludere dall’ambito d’applicabilità queste misure punitive verso quei reati definiti ostativi—classificabili per loro intrinseca serietà e rilevanza sociale—nonché negare tali opportunità ai trasgressori coinvolti nei procedimenti su cui si fondano accuse gravi; senza nemmeno considerare eventuali attenuazioni legate alla minor severità dell’atto compiuto.

Il massimo organo giurisdizionale ha infine escluso che sia stato violato il principio della funzione rieducativa della sanzione. Il principio in questione richiede che il sistema penale assicuri sempre un obiettivo di reinserimento sociale per i soggetti condannati, indipendentemente dalla gravità del reato; tuttavia ciò non implica un’esclusione delle ulteriori funzioni penalizzanti. Infatti, è possibile che le sanzioni abbiano altresì lo scopo di garantire una protezione collettiva dai rischi connessi alla potenziale ricaduta nell’illegalità da parte dell’individuo e favoriscano misure preventive nei riguardi della criminalità in genere. Particolarmente interessante risulta notare come tale funzione preventiva possa legittimare sul piano costituzionale l’imposizione della detenzione persino a carico di coloro che sono stati considerati ormai privi di un profilo sociale minaccioso.

Le Criticità del Sistema Penitenziario Italiano

Nonostante la decisione della Corte Costituzionale, rimane aperta la questione delle condizioni in cui vengono eseguite le pene detentive in Italia. La Corte ha posto l’accento su come l’aumento delle opzioni di pene alternative e la maggiore facilità di accesso a tali misure, introdotte dalla riforma del 2022, rappresentino un progresso notevole nell’applicazione, da parte del legislatore stesso, dei principi costituzionali che regolano la materia penale.

È stato inoltre rimarcato che tali sanzioni, differenti dalla detenzione, si dimostrano generalmente più efficaci nel garantire la riabilitazione del condannato, poiché eludono le conseguenze negative che il carcere può avere sulla sua socialità e, contemporaneamente, lo guidano in un cammino che enfatizza l’importanza del lavoro, dell’istruzione, del consolidamento delle relazioni familiari e sociali, delle opportunità di valutare criticamente le azioni passate e, possibilmente, di una riconciliazione con la persona offesa dal reato.

Verso un Equilibrio tra Sicurezza e RIEDUCAZIONE

La pronuncia emessa dalla Corte Costituzionale segna un tentativo significativo volto a conciliare le istanze legate alla sicurezza pubblica con gli imperativi costituzionali che enfatizzano sia la rieducazione del condannato sia l’umanità della pena. Da una parte, si sancisce la legalità nell’escludere dall’accesso alle pene sostitutive coloro che sono stati condannati per reati ostativi; dall’altra parte, viene riaffermata in modo deciso l’importanza di assicurare a tutti i prigionieri condizioni carcerarie dignitose, miranti alla loro reintegrazione nella società. L’ardua impresa cui sono chiamati legislatori e amministratori penitenziari consiste nel conseguire una sintesi tra queste contrapposte necessità, salvaguardando tanto della sicurezza sociale quanto il rispetto dei diritti umani fondamentali degli individui detenuti.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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