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- La CGUE ridefinisce il controllo giurisdizionale sui diritti fondamentali.
- Il decreto legge 158/2024 includeva il Bangladesh tra i paesi sicuri.
- La Corte tutela le categorie vulnerabili, come le minoranze.
Un Nuovo Equilibrio tra Politica Migratoria e Tutela Giurisdizionale
Il 1° agosto 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha emesso una sentenza che ridefinisce i confini tra la politica migratoria degli Stati membri e il controllo giurisdizionale sui diritti fondamentali. La decisione, scaturita da due domande pregiudiziali sollevate dal Tribunale ordinario di Roma, riguarda la designazione di paesi terzi come “paesi di origine sicuri” e il loro impatto sulle procedure di asilo. Il caso specifico ha origine dal decreto legge 158/2024, con cui l’Italia ha incluso il Bangladesh nella lista dei paesi considerati sicuri, una mossa che ha suscitato un acceso dibattito politico e giuridico. La CGUE, pur riconoscendo la facoltà degli Stati membri di designare tali paesi tramite atti legislativi, ha stabilito che tale designazione deve essere soggetta a un controllo giurisdizionale effettivo, garantendo trasparenza e rispetto dei diritti fondamentali.
La sentenza della CGUE ha implicazioni significative per la politica migratoria italiana e per l’accordo con l’Albania, che prevede il trasferimento di migranti soccorsi in mare in centri di permanenza nel paese balcanico. La Corte ha chiarito che la designazione di un paese come “sicuro” non può essere assoluta, ma deve tenere conto della situazione di specifiche categorie di persone, come minoranze o gruppi vulnerabili. Inoltre, ha sottolineato l’importanza dell’accesso alle fonti di informazione su cui si basa la designazione, al fine di consentire ai richiedenti asilo di contestare la decisione e ai giudici di esercitare il proprio sindacato giurisdizionale. La decisione della Corte mira a bilanciare l’interesse degli Stati membri a controllare i flussi migratori con la necessità di garantire una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti fondamentali dei migranti.
I Dettagli della Sentenza: Trasparenza, Accesso alle Informazioni e Tutela delle Categorie Vulnerabili
La sentenza della CGUE si articola in tre punti chiave. In primo luogo, la Corte ha affermato che gli articoli 36 e 37, nonché l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non ostano a che uno Stato membro designi paesi terzi come paesi di origine sicuri mediante un atto legislativo, a condizione che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale vertente sul rispetto delle condizioni sostanziali di siffatta designazione. In secondo luogo, la Corte ha precisato che lo Stato membro che designa un paese terzo come paese di origine sicuro deve garantire un accesso sufficiente e adeguato alle fonti di informazione su cui si fonda tale designazione, consentendo al richiedente protezione internazionale di difendere i propri diritti e al giudice di esercitare il proprio sindacato. Infine, la Corte ha sentenziato che l’articolo 37 della direttiva 2013/32, letto in combinazione con il suo allegato I, impedisce a uno Stato membro di designare come sicuro un paese terzo che non rispetta, per specifiche tipologie di persone, i requisiti essenziali di tale designazione.
La decisione della CGUE impone quindi agli Stati membri di adottare un approccio più rigoroso e trasparente nella designazione dei paesi di origine sicuri. Le fonti di informazione su cui si basa la designazione devono essere accessibili e verificabili, e la decisione deve tenere conto della situazione di specifiche categorie di persone che potrebbero non godere di una protezione adeguata nel paese di origine. Il magistrato nazionale, chiamato a giudicare su un ricorso inerente una richiesta di protezione internazionale, è autorizzato a considerare le informazioni da egli stesso raccolte, purché ne assicuri la veridicità e consenta alle parti coinvolte di formulare le proprie osservazioni su tali dati aggiuntivi. La sentenza della CGUE rappresenta un importante passo avanti nella tutela dei diritti fondamentali dei migranti e nella garanzia di un controllo giurisdizionale effettivo sulle decisioni degli Stati membri in materia di politica migratoria.
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Reazioni Politiche e Giuridiche: Un Dibattito Acceso sulla Sovranità Nazionale e la Tutela dei Diritti
La sentenza della CGUE ha suscitato reazioni contrastanti nel panorama politico e giuridico italiano. Il governo italiano ha espresso sorpresa e preoccupazione per la decisione, sostenendo che essa rappresenta un’indebita ingerenza della giurisdizione nella sfera politica e che indebolisce le politiche di contrasto all’immigrazione illegale. “Palazzo Chigi ha affermato che la Corte di Giustizia Ue decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari.” Il governo ha inoltre sottolineato che la decisione della CGUE potrebbe compromettere l’efficacia dell’accordo con l’Albania e che continuerà a ricercare ogni soluzione possibile per tutelare la sicurezza dei cittadini.
D’altra parte, le opposizioni politiche e le associazioni di magistrati hanno accolto favorevolmente la sentenza della CGUE, sottolineando che essa riafferma l’importanza del controllo giurisdizionale sui diritti fondamentali e che garantisce una maggiore trasparenza e accountability nelle decisioni in materia di politica migratoria. Magistratura democratica ha affermato che la Corte di Giustizia Ue dà ragione alla sezione immigrazione del tribunale di Roma sui Paesi sicuri, mentre il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Cesare Parodi ha sottolineato che la sentenza dimostra che nessuno remava contro il governo e che era stata proposta una interpretazione dai giudici italiani che oggi la Corte di giustizia dell’Unione europea dice essere corretta. La segretaria del PD Elly Schlein ha accusato il governo di aver fatto una scelta illegale con i centri in Albania che calpestano i diritti fondamentali di migranti e richiedenti asilo, mentre altri esponenti politici hanno definito la sentenza come un macigno sulle velleità del governo Meloni di calpestare il diritto internazionale e il buonsenso.

Un Nuovo Paradigma per la Politica Migratoria: Responsabilità Politica e Controllo Giurisdizionale
La sentenza della CGUE segna un punto di svolta nella politica migratoria europea, delineando un nuovo paradigma in cui la responsabilità politica degli Stati membri deve necessariamente confrontarsi con il controllo giurisdizionale sui diritti fondamentali. La decisione della Corte non nega la legittimità delle scelte politiche in materia di immigrazione, ma ribadisce che tali scelte devono essere esercitate nel rispetto dei principi fondamentali del diritto dell’Unione europea e della Carta dei diritti fondamentali. La trasparenza, l’accesso alle informazioni e la tutela delle categorie vulnerabili diventano quindi elementi imprescindibili per una politica migratoria che sia al tempo stesso efficace e rispettosa dei diritti umani.
La sentenza della CGUE invita gli Stati membri a riflettere sul ruolo del giudice come garante dei diritti fondamentali e a superare la logica della contrapposizione tra politica e giurisdizione. La sfida per il futuro è quella di costruire un sistema di governance migratoria che sia in grado di coniugare l’esigenza di controllare i flussi migratori con la necessità di proteggere i diritti dei migranti e di garantire un accesso effettivo alla giustizia. La decisione della CGUE rappresenta un’opportunità per ripensare le politiche migratorie in un’ottica di maggiore umanità e responsabilità, promuovendo un dialogo costruttivo tra le istituzioni politiche e giudiziarie e coinvolgendo la società civile nella definizione di soluzioni innovative e sostenibili.
Conclusione: Un Equilibrio Dinamico tra Potere Politico e Garanzia dei Diritti Fondamentali
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 1° agosto 2025 rappresenta un momento cruciale nel dibattito sulla politica migratoria europea. Essa non solo definisce i limiti entro cui gli Stati membri possono designare i “paesi di origine sicuri”, ma riafferma anche il ruolo fondamentale del controllo giurisdizionale nella tutela dei diritti fondamentali. La decisione della Corte, pur suscitando reazioni contrastanti, invita a una riflessione più ampia sul rapporto tra potere politico e garanzia dei diritti, e sulla necessità di trovare un equilibrio dinamico tra l’esigenza di controllare i flussi migratori e l’imperativo di proteggere la dignità umana.
Amici lettori, spero che questo articolo vi abbia fornito una panoramica chiara e dettagliata della sentenza della CGUE e delle sue implicazioni. Per comprendere meglio il contesto giuridico, è utile ricordare che il principio di non-refoulement, sancito dal diritto internazionale, vieta agli Stati di respingere o espellere una persona verso un paese in cui rischierebbe di subire persecuzioni o trattamenti inumani o degradanti. Una nozione legale più avanzata, applicabile al tema, è il principio di responsabilità condivisa tra gli Stati membri dell’UE nella gestione dei flussi migratori, che implica la necessità di una cooperazione e di una solidarietà effettiva per garantire una protezione adeguata ai richiedenti asilo e ai rifugiati. Riflettiamo insieme: come possiamo contribuire, come cittadini, a promuovere una cultura dell’accoglienza e del rispetto dei diritti umani, superando le paure e i pregiudizi che spesso alimentano il dibattito sull’immigrazione?
- Comunicato ufficiale del governo italiano sulla decisione della Corte di Giustizia.
- Documento PDF della Corte di Giustizia UE sulla designazione di paesi terzi.
- Pagina del governo italiano sul decreto legge 158/2024 sui paesi sicuri.
- Testo integrale del protocollo Italia-Albania sui migranti, fonte primaria.